Si è parlato spesso, in queste pagine, di quanto sia importante, quando ci si trova di fronte a una controversia edilizia, muoversi con i piedi di piombo e, soprattutto, dotarsi di una perizia capace di dimostrare in modo analitico, tecnico e documentale i danni subiti.

Superbonus e risarcimento danni: l’importanza delle prove 

L’ordinanza del Tribunale di Bolzano (24 settembre 2025, n. R.G. 1607/2025) ne offre un’ulteriore e significativa conferma, nell’ambito di uno dei tanti contenziosi nati dall’ondata di cantieri Superbonus.

In quel caso, un condominio aveva affidato a un’impresa edile un appalto da oltre 900 mila euro per la riqualificazione energetica dell’edificio, con pagamento prevalentemente tramite sconto in fattura.

Dopo una partenza regolare, però, nel luglio 2024 il cantiere veniva abbandonato: le opere risultavano incomplete e il condominio dichiarava risolto il contratto per grave inadempimento.

Convinto della propria posizione, il condominio chiedeva al giudice il sequestro conservativo di 600.000 euro nei confronti dell’appaltatore, a garanzia dei danni economici e tecnici subiti.

Il problema: un danno “non provato”

A una prima lettura, la vicenda sembrerebbe chiara: un’impresa lascia un cantiere incompleto e il committente tenta di tutelarsi.

Tuttavia, il Tribunale non ha potuto accogliere la richiesta perché il condominio non è riuscito a dimostrare, in modo tecnicamente attendibile, né la misura né la natura del danno subito.

Il giudice parla esplicitamente di “situazione confusa” e di documentazione che crea più incertezza che chiarezza.
Le relazioni del direttore dei lavori riportavano valori diversi a seconda delle date: “Nell’e-mail del 28/12/2023 si parla di un SAL pari all’87,75% dell’importo contrattuale, poi corretto al 75,23%, mentre nella relazione del 26/06/2025 i lavori risultano pari a 530.180,80 euro. La situazione in relazione al valore dei lavori eseguiti appare, a dir poco, confusa.”

Di fatto, mancava una base tecnica univoca per quantificare il danno o anche solo per stabilire quanto fosse stato realmente eseguito.

Il principio: chi chiede tutela deve provare con rigore

Il Tribunale ribadisce un principio cardine, troppo spesso trascurato nei contenziosi edilizi, ovvero che spetta al debitore provare l’adempimento, ma spetta al creditore dimostrare la misura del danno.

Il condominio, pur avendo denunciato un inadempimento “palese”, non ha fornito una prova chiara, analitica e verificabile del proprio credito.

Le stime contenute nelle perizie di parte – ad esempio 310.000 euro per lavori non eseguiti o 30.000 per danni da infiltrazioni – erano giudicate “prive di qualsiasi motivazione concreta” “non riferite ai valori contrattuali delle opere previste”.

Il giudice osserva che “non vi è prova che i lavori non eseguiti ammontino all’importo indicato”, e sottolinea che il danno risarcibile non coincide con il valore delle opere mancanti, bensì con l’eventuale differenza di costo necessaria per completarle tramite altra impresa – un elemento mai documentato.

Quando la confusione documentale diventa una condanna

L’aspetto più interessante della decisione non riguarda tanto il rigetto del sequestro, quanto il ragionamento di fondo: il committente non è “premiato” solo perché ha ragione nel merito. Se non dimostra i propri crediti in modo tecnicamente fondato, il giudice non può accordare tutela, nemmeno provvisoria.

L’ordinanza afferma con chiarezza “Le allegazioni e prove fornite da parte ricorrente non sono idonee a confermare il fumus boni iuris in relazione ai crediti dedotti” E ancora “La ricorrente non è riuscita ad esporre e provare in maniera adeguata il proprio credito, mentre allo stesso tempo l’inadempimento dell’appaltatore era palese.”

Una conclusione amara: l’appaltatore non viene assolto perché adempiente, ma perché il condominio non ha saputo dimostrare i propri danni con la necessaria precisione tecnica.

L’importanza delle perizie tecniche nei contenziosi edilizi

Il caso di Bolzano è emblematico del nuovo scenario post-Superbonus: tanti cantieri sospesi o incompleti e condomìni che tentano di rivalersi su imprese, tecnici o professionisti fiscali.

Ma la lezione che emerge è una sola, senza prove tecniche rigorose e analitiche, nessuna richiesta di risarcimento regge in giudizio.

Una relazione generica o contraddittoria, che non quantifica in modo oggettivo lo stato d’avanzamento e il costo delle opere mancanti, non ha valore probatorio sufficiente, nemmeno in sede cautelare.
Come osserva il giudice “le produzioni del committente non consentono un accertamento sufficientemente affidabile” e “il danno non può essere accertato nemmeno in via approssimativa”.

È il fallimento tipico delle perizie “narrative”, prive di fondamento contabile, che si limitano a ipotizzare costi e danni senza riferimento oggettivo ai documenti di contratto e ai SAL depositati.

La decisione finale

Il Tribunale rigetta la domanda di sequestro conservativo e compensa le spese, riconoscendo che l’impresa è stata inadempiente ma che il condominio “ha tratto danno dalla propria confusione probatoria”.

In altre parole, la controparte non vince perché ha ragione, ma perché l’altra parte non ha saputo dimostrare le proprie ragioni. Significative le parole riportate dal Giudice a conclusione della sentenza “La resistente non esce vittoriosa per aver provato il proprio adempimento… quanto per aver tratto profitto dalla complessità della vertenza e dalla non piena precisione nelle allegazioni ed elementi probatori della controparte.”

L’ordinanza del Tribunale di Bolzano lancia così un messaggio chiaro a chi oggi affronta contenziosi legati ai bonus edilizi: non basta avere ragione sul piano dei fatti, serve poterla dimostrare con basi tecniche solide.

Senza un quadro probatorio completo – contabilità coerente, perizia tecnica dettagliata, computi e documentazione fotografica – il giudice non può quantificare il danno, né tutelarlo.