Superbonus e lavori non conclusi: il danno risarcibile è solo il ‘lucro cessante’
Non basta invocare la perdita del beneficio fiscale: serve dimostrare l’aumento di valore che l’immobile avrebbe avuto se l’opera fosse stata completata.
Pronuncia dopo pronuncia, la giurisprudenza in materia di inadempimenti contrattuali e richieste di risarcimento legate al Superbonus sta diventando più strutturata e coerente. Le prime decisioni si limitavano a constatare la mancata esecuzione o conclusione dei lavori. Oggi, invece, i giudici iniziano a delineare un percorso preciso per valutare la perdita di chance nell’accesso alle agevolazioni fiscali, la natura dei danni connessi ai lavori edilizi e il corretto rapporto tra disciplina fiscale e responsabilità civilistica.
In questo contesto si inserisce l’ordinanza del Tribunale di Milano, Sezione VII Civile, del 18 novembre 2025. Una decisione che offre chiarimenti molto importanti per tutti coloro che stanno valutando di intraprendere un’azione giudiziale in questa complessa materia.
Lo sconto in fattura non è un pagamento
Il primo profilo di rilievo riguarda la qualificazione giuridica dello sconto in fattura e della cessione del credito. Il giudice milanese ha sottolineato che questi strumenti, pur avendo natura fiscale, non possono essere considerati alla stregua di un pagamento in senso civilistico.
Scrive infatti il Tribunale che “lo sconto in fattura […] non è qualificabile come pagamento civilisticamente inteso, non venendo in essere alcuno spostamento patrimoniale diretto riferibile ai committenti, ma rappresenta un mezzo alternativo di estinzione dell’obbligazione assunta nel contratto d’appalto”. E aggiunge che “il bonus è destinato a essere utilizzato, in compensazione, per estinguere debiti fiscali”.
In altre parole, il credito d’imposta non costituisce denaro del committente ma una agevolazione da utilizzare nei rapporti con l’erario. Per questo motivo, ai fini civilistici, il giudice può tenere conto solo delle somme effettivamente versate e non delle quote “scontate” in fattura. È un chiarimento che restituisce coerenza alla distinzione tra obbligazione contrattuale e incentivo fiscale, troppo spesso confusa nelle controversie post–Superbonus.
Nessun risarcimento per vizi se l’opera non è terminata
Il Tribunale affronta poi un altro punto ricorrente nelle cause legate agli appalti del Superbonus. Quando le opere non risultano concluse, non è possibile invocare la garanzia per vizi e difformità prevista dagli articoli 1667 e 1668 del codice civile. Tali norme presuppongono che l’opera sia stata terminata e consegnata.
Nel caso esaminato, la consulenza tecnica aveva accertato che i lavori erano stati realizzati solo in parte, con percentuali di avanzamento molto basse. Da ciò discende che, in assenza di un’opera compiuta, le doglianze sui vizi non possono trovare accoglimento. Come ricorda la stessa ordinanza, la giurisprudenza di legittimità insegna che in caso di mancato completamento dell’appalto non si applica la garanzia speciale per vizi ma la responsabilità contrattuale ordinaria dell’appaltatore, limitata al maggior costo che il committente dovrà sostenere per completare i lavori con altra impresa.
Si tratta di un principio tanto lineare quanto spesso disatteso, che contribuisce a delimitare il campo del danno effettivamente risarcibile nei casi di inadempimento.
Il danno da perdita del bonus è lucro cessante, non danno emergente
Il punto più innovativo e rilevante della decisione riguarda la qualificazione del danno da perdita del beneficio fiscale. Secondo il Tribunale, quando i lavori non vengono completati e il committente perde il diritto a usufruire del Superbonus, il danno risarcibile non coincide con l’importo del credito fiscale non goduto, ma con la perdita dell’incremento di valore che l’immobile avrebbe acquisito se l’intervento fosse stato portato a termine.
Il giudice scrive che “nel caso di mancata esecuzione dell’appalto, ciò che potrebbe cagionare l’inadempimento grave dell’appaltatore è il lucro cessante costituito dalla perdita dell’incremento di valore dell’immobile del committente”.
La mancata esecuzione dell’appalto a costo zero non comporta di per sé un danno patrimoniale, poiché il committente non ha sostenuto un esborso economico. Ciò che rileva è la mancata acquisizione di un vantaggio, ossia l’aumento di valore dell’immobile per effetto dei lavori di efficientamento energetico, miglioramento sismico o ristrutturazione. Il giudice precisa che anche qualora si volesse qualificare questo pregiudizio come mancato guadagno, esso deve essere provato con elementi tecnici e contabili idonei, attraverso una perizia che stimi la differenza tra il valore dell’immobile nello stato attuale e quello che avrebbe avuto dopo gli interventi previsti.
È un passaggio cruciale perché segna un cambio di prospettiva. Non si tratta più di misurare il danno in base al bonus fiscale perduto, ma di ricondurlo alla sfera economica reale del committente, legata al valore del bene. In assenza di tale prova, il danno non può ritenersi neppure probabile, come avviene nel procedimento cautelare, che richiede urgenza e sommarietà e non ammette accertamenti complessi.
Una decisione che porta chiarezza
L’ordinanza del Tribunale di Milano rappresenta un punto di equilibrio fra la disciplina fiscale e quella civilistica. Mette ordine in un’area in cui, negli ultimi anni, si sono accumulate interpretazioni disomogenee e richieste risarcitorie spesso formulate in modo generico o improprio. Chiarisce che il credito d’imposta non può essere trattato come denaro, che la garanzia per vizi presuppone il completamento dell’opera e che la perdita del bonus è risarcibile solo come lucro cessante, cioè come mancato incremento di valore del bene.
È una decisione che segna un passo importante verso una giurisprudenza più consapevole e aderente alla realtà economica dei lavori incentivati. Indica la strada per chi voglia agire in giudizio con pretese fondate e, allo stesso tempo, rafforza le difese delle imprese che si trovano coinvolte in contenziosi nati nella complessa stagione del “dopo Superbonus”.