
Superbonus e appalti interrotti: quando il committente deve rimborsare i materiali all’impresa
Anche in caso di recesso legittimo, l’appaltatore ha diritto al rimborso dei materiali già acquistati e destinati all’opera. Il Tribunale di Lecco chiarisce i confini del giusto equilibrio contrattuale.

Con la sentenza n. 337/2025, pubblicata il 9 luglio 2025, il Tribunale di Lecco ha affrontato un nodo giuridico sempre più frequente nel contenzioso sull’edilizia agevolata: cosa accade se i lavori previsti in un contratto Superbonus non partono e il committente recede, mentre l’impresa ha già acquistato parte dei materiali? La risposta del giudice è chiara: se l’appaltatore ha sostenuto spese per l’approvvigionamento dei materiali specificamente destinati all’opera, ha diritto al rimborso, anche se il contratto è stato risolto in modo legittimo.
Una decisione importante perché chiarisce che il diritto al rimborso non presuppone una colpa del committente, ma scaturisce dal rispetto delle pattuizioni contrattuali e da un principio di equità sostanziale: non si può scaricare sull’appaltatore l’intero peso economico di un progetto interrotto dopo la fase preparatoria.
Il fatto: contratto firmato, materiali acquistati, lavori mai iniziati
Nel caso esaminato dal Tribunale, una società aveva stipulato un contratto di appalto con due committenti per lavori di efficientamento energetico e rifacimento delle facciate, con un corrispettivo pattuito pari a 61.396 euro. L’accordo prevedeva un acconto di 19.000 euro “alla conferma” e l’inizio dei lavori entro il 15 giugno 2022.
In un primo momento, i committenti avevano chiesto di sospendere l’avvio del cantiere “in attesa di indicazioni governative” in merito alla fruibilità del Superbonus. Successivamente, il 13 agosto 2022, hanno comunicato formalmente la rinuncia all’esecuzione dei lavori, motivandola con la sopravvenuta impossibilità di accedere alla cessione del credito fiscale.
Nel frattempo, tuttavia, l’impresa aveva già acquistato materiali specifici (pannelli per isolamento a cappotto in schiuma fenolica e in polistirene espanso), su richiesta del Direttore dei Lavori, per essere pronti al cantiere. Alcuni di questi materiali, invendibili o rivenduti con perdita, sono rimasti a carico dell’appaltatore.
La tesi dell’appaltatore: rimborso spese e mancato guadagno
L’impresa ha agito in giudizio chiedendo il rimborso di € 7.986,74 per i materiali acquistati e non utilizzati ed anche un risarcimento per mancato guadagno quantificato in € 20.802,42.
A sostegno, ha invocato l’art. 1671 c.c., sostenendo che il recesso era imputabile ai committenti e che le spese già sostenute non potevano restare a suo carico. Il mancato completamento del contratto, a detta dell’attrice, aveva interrotto una fase operativa già avviata e concretamente orientata alla realizzazione dell’opera.
La difesa dei committenti: Superbonus come condizione implicita
I convenuti hanno rigettato ogni addebito, sostenendo che la possibilità di accedere al Superbonus costituiva la causa concreta del contratto e che il blocco della cessione del credito (dovuto alle note modifiche normative) rendeva il contratto privo di scopo. Inoltre l’inizio ritardato dei lavori era colpa dell’impresa, che non avrebbe rispettato la tempistica pattuita.
I committenti hanno anche contestato il diritto al rimborso dei materiali, affermando che nulla era stato consegnato in cantiere e che non era provata la riferibilità di quei materiali allo specifico appalto. Hanno inoltre eccepito che la società, in quanto General Contractor, non era qualificabile come impresa edile in senso stretto, sostenendo che avrebbe dovuto subappaltare i lavori.
La decisione: recesso legittimo, ma i materiali vanno rimborsati
Il giudice, pur riconoscendo la legittimità del recesso ai sensi dell’art. 12 del contratto (che fissava al 15 giugno il termine per l’inizio lavori), ha accolto parzialmente la domanda dell’impresa, condannando i committenti in solido al pagamento della somma di € 7.986,74 per i materiali acquistati.
La decisione si fonda su due capisaldi:
- Il contratto prevedeva espressamente che, in caso di recesso legittimo per superamento della data di avvio, il committente dovesse tenere indenne l’appaltatore per i costi sostenuti per materiali destinati all’opera.
- Il CTU incaricato ha confermato la congruità dei costi, la difficoltà di rivendita e la riferibilità di quei materiali all’appalto in questione.
Nonostante i materiali non siano stati fisicamente consegnati, il giudice ha rilevato che i committenti non hanno mai richiesto la consegna, avendo manifestato il proprio disinteresse a proseguire i lavori. Quindi, la loro mancata accettazione della merce non può essere opposta come motivo di esclusione del rimborso.
Il principio richiamato è quello della cooperazione tra le parti nel contratto: non si può invocare il mancato adempimento dell’altra parte quando è stata la propria condotta a rendere impossibile l’esecuzione.
Nessun risarcimento per il mancato guadagno
Diversamente, la domanda attorea per il mancato guadagno è stata respinta: il recesso è stato esercitato legittimamente e la clausola contrattuale non prevedeva in tal caso alcun diritto dell’impresa a ricevere l’intero utile non realizzato.
Parimenti, è stata respinta la domanda riconvenzionale dei committenti, che chiedevano un risarcimento per la perdita delle agevolazioni fiscali: secondo il giudice, il nesso causale tra il ritardo e la perdita del Superbonus non è stato dimostrato, anche perché erano stati gli stessi committenti a chiedere la sospensione del cantiere.
Una sentenza che riequilibra i rapporti tra committente e impresa
La decisione del Tribunale di Lecco rappresenta un utile chiarimento per gli operatori del settore: se il contratto prevede una soglia temporale per l’inizio lavori e il recesso del committente avviene in modo legittimo, l’impresa non può pretendere l’intero guadagno, ma ha comunque diritto al rimborso delle spese già sostenute in buona fede e su richiesta progettuale.
Un principio che tutela l’equilibrio contrattuale, impedendo che il rischio economico di un blocco lavori cada interamente sull’appaltatore, specie quando la decisione di non procedere è maturata dopo l’avvio degli approvvigionamenti.