
Preliminare di compravendita di immobile irregolare: si può risolvere se c’è dolo
Milano, caso emblematico sulla validità del preliminare di vendita in presenza di abusi edilizi.

I recenti fatti di cronaca riguardanti l’urbanistica milanese e le indagini della Procura su numerosi cantieri realizzati in assenza di piani attuativi hanno messo in allarme molte famiglie e investitori, già impegnati nell’acquisto di appartamenti all’interno di tali edifici tramite la sottoscrizione di contratti preliminari. La loro preoccupazione riguarda il rischio di aver investito in immobili irregolari, versando caparre consistenti, che potrebbero rivelarsi “problematici” qualora i procedimenti in corso confermassero le irregolarità urbanistiche. Il desiderio, per molti di loro, è quindi quello di svincolarsi dall’impegno assunto, ma non è sempre chiaro quando ciò sia davvero possibile.
Un caso analogo
Con la recente sentenza n. 4558/2025, pubblicata il 4 giugno 2025, proprio il Tribunale di Milano ha affrontato un tema cruciale nel diritto delle obbligazioni e dei contratti immobiliari: se e quando è possibile annullare un contratto preliminare di compravendita immobiliare per irregolarità urbanistiche dell’immobile promesso in vendita.
Nello specifico caso due promissari acquirenti chiedevano l’annullamento, per dolo ex artt. 1427 e 1439 c.c., del contratto preliminare di compravendita sottoscritto con la promittente venditrice il 13 ottobre 2020. A fondamento della domanda, la presunta mancata conformità urbanistico-edilizia dell’immobile promesso in vendita, una villetta con annesso fabbricato a Milano, e la (supposta) consapevolezza della venditrice circa tali irregolarità, nonché la sua omissione intenzionale nel comunicarle ai futuri acquirenti.
Secondo gli attori, la dichiarazione di conformità urbanistica resa nella proposta d’acquisto e l’inadeguatezza della documentazione fornita – in particolare una DIA del 2000 incompleta – avrebbero integrato un comportamento doloso, determinante ai fini della loro adesione al contratto. Da qui la richiesta di restituzione della caparra confirmatoria (100.000 euro) e il risarcimento dei danni.
La convenuta, costituitasi, ha resistito affermando l’infondatezza delle accuse e ha documentato di aver, sin dalle trattative, manifestato l’intenzione di regolarizzare eventuali abusi edilizi.
Il principio di diritto affermato
Il Tribunale ha rigettato la domanda, evidenziando che, se è vero che l’immobile risultava effettivamente irregolare al momento del preliminare, e se è altrettanto vero che la venditrice ne era presumibilmente consapevole, non può parlarsi di dolo contrattuale in mancanza di un intento fraudolento finalizzato a indurre in errore la controparte.
In particolare, il giudice ha rilevato come l’intera fase prenegoziale sia stata contrassegnata da ampie interlocuzioni tra le parti sullo stato urbanistico dell’immobile. Le irregolarità erano state oggetto di discussione e le minute contrattuali avevano previsto:
- la possibilità di sanatorie successive;
- lo slittamento della data per il rogito definitivo;
- un deposito cauzionale da trattenere in caso di ritardi nella regolarizzazione;
- una clausola di sconto sul prezzo qualora la sanatoria fosse stata negata.
Anche se alcune dichiarazioni erano oggettivamente scorrette il giudice ha ritenuto che gli acquirenti fossero consapevoli dei rischi, come dimostrato anche dal loro comportamento attivo e determinato nel perseguire comunque la stipula del preliminare, pur in assenza della documentazione richiesta.
Una lettura in negativo: se il dolo ci fosse stato, il contratto si poteva risolvere
Se dunque il contratto non è stato annullato in quanto mancava il dolo, il principio che si può dedurre è anche quello esattamente contrario: se il dolo ci fosse stato, la risoluzione sarebbe stata possibile.
È questo il nucleo interpretativo di maggiore rilievo della decisione: l’irregolarità urbanistica, in sé, non è causa sufficiente di annullamento del preliminare. Per ottenerlo, è necessario che:
- vi sia un comportamento attivo od omissivo dolosamente teso a occultare la reale situazione;
- tale comportamento abbia determinato l’altro contraente a concludere il contratto che, altrimenti, non avrebbe stipulato.
In altri termini, la mera scoperta successiva di irregolarità edilizie non legittima l’acquirente a sciogliersi dal vincolo contrattuale, se non prova che tali irregolarità gli sono state dolosamente occultate o che, per effetto di inganno, ha contratto in condizioni di errore scusabile e rilevante.
Diligenza e buona fede come criteri di giudizio
La sentenza richiama esplicitamente il canone del comportamento diligente, affermando che l’affidamento degli acquirenti sulla regolarità dell’immobile non è giuridicamente tutelabile se fondato su negligenza. In particolare, il Tribunale osserva che gli attori, pur in presenza di più segnali di rischio (assenza di documenti, richieste esplicite di sanatoria, dichiarazioni imprecise), hanno comunque firmato un contratto da oltre un milione di euro senza pretendere il completamento delle verifiche.
Questo punto rafforza l’idea che il nostro ordinamento tutela l’acquirente diligente, non quello che si espone volontariamente a un rischio che poi, una volta concretizzatosi, tenta di neutralizzare sul piano giudiziario.
Conclusioni
La decisione del Tribunale di Milano offre dunque una lezione chiara e di rilievo pratico: il preliminare di compravendita può essere annullato se l’immobile è irregolare e se l’acquirente è stato dolosamente tratto in errore. L’onere probatorio sul dolo è, però, particolarmente gravoso e la mera scoperta di irregolarità non basta, soprattutto se l’acquirente ha avuto elementi per sospettare – o verificare – prima di contrattare.
Il principio che ne emerge è di portata generale: la tutela dell’acquirente non può prescindere dalla sua diligenza. E, all’opposto, il venditore può andare incontro alla risoluzione o all’annullamento del contratto se abbia occultato in mala fede le reali condizioni dell’immobile.