L’aggiunta di opere a quelle previste nel contratto d’appalto deve essere regolarmente autorizzata dal committente. Se ciò non avviene, a rispondere delle conseguenze è il direttore dei lavori. Così dispone il nuovo codice dei contratti pubblici (dlgs 36/2023) che, in assenza di norme dettagliate in materia di appalti privati, rappresenta un utile riferimento anche per questi ultimi, soprattutto se vi è in gioco la spettanza di bonus edilizi per agevolare il costo degli interventi.

In via generale, l’impresa cui è affidata l’esecuzione dei lavori non può pretendere pagamenti relativi a opere addizionali a quelle già approvate, ad esempio, dall’assemblea condominiale. Dato che le delibere condominiali sono l’unico mezzo che i condòmini hanno per esprimere la propria volontà, è logico ritenere che qualsiasi variante ai progetti deve essere oggetto di una nuova delibera, e che se vengono eseguite opere addizionali non autorizzate secondo questo iter, a pagare dovrà essere chi ha permesso che ciò avvenisse e cioè il direttore dei lavori.

In tal senso, il dlgs 36/2023 dello scorso marzo è esplicito, legando proprio al direttore dei lavori la responsabilità dell’aggiunta di opere non approvate. Nel dettaglio, all’interno dell’Allegato II.14, dedicato all’esecuzione dei contratti, l’art. 5, co. 4 dispone che “il direttore dei lavori risponde delle conseguenze derivanti dall’aver ordinato o lasciato eseguire modifiche o addizioni al progetto, senza averne ottenuto regolare autorizzazione, sempre che non derivino da interventi volti a evitare danni gravi a persone o cose o a beni soggetti alla legislazione in materia di beni culturali e ambientali o comunque di proprietà delle stazioni appaltanti”. Il direttore dei lavori è dunque chiamato per legge a rispondere per le “conseguenze”, la più prevedibile delle quali è la necessità di pagare le opere in più realizzate. Ma non solo, perché se il condominio, ad esempio, non approva ex post le opere modificate, il direttore dei lavori può essere chiamato a pagare anche i danni o la riduzione in pristino. Il codice fa salvo il professionista da tale responsabilità solo quando via sia il rischio di danni o quando effettivamente non sia stato lui a disporre la modifica dei lavori, magari perchè l’impresa esecutrice ha agito (illegittimamente) di sua spontanea volontà, caso nel quale il co. 5 del citato art. 5 stabilisce che il direttore dei lavori “fornisce all’esecutore le disposizioni per la rimessa in pristino con spese a carico dell’esecutore stesso”.

Tali indicazioni normative risultano parecchio rilevanti nel caso in cui il committente dei lavori voglia accedere alle detrazioni fiscali edilizie, soprattutto a quelle in scadenza al 31 dicembre 2023 (come il Superbonus, la cui aliquota scenderà al 70% dal 1° gennaio 2024). Nella fretta di concludere i lavori, infatti, potrebbe esservi la tentazione di saltare qualche passaggio autorizzativo, pur di rientrare nelle sempre più stringenti tempistiche per ottenere la maggior detrazione.

L’Allegato II.14 del dlgs 36/2023, in particolare, dispone che per ogni modifica del progetto il direttore dei lavori deve redigere, dopo aver acquisito il parere del progettista a riguardo, “una relazione motivata contenente i presupposti per la modifica […] per sottoporla all’approvazione della stazione appaltante” (art. 5, co. 3). Se, per velocizzare la realizzazione di eventuali nuove opere necessarie, il direttore dei lavori ometterà l’operazione appena descritta, limitandosi a disporre la prosecuzione dei lavori con le aggiunte, si troverebbe in una posizione decisamente complicata, dato che, per opera del dlgs 36/2023, è lui a rispondere di tutte le relative conseguenze.