La maggior parte degli edifici nei quali viviamo, lavoriamo e passiamo le nostre giornate, in caso di terremoti violenti, come quelli che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni, possono subire danneggiamenti gravi, fino a diventare persino inagibili. Contrariamente a quanto si pensa questo può accadere anche se sono stati costruiti in cemento armato secondo tutti i cosiddetti “criteri antisismici“.

Le normative antisismiche

In un paese ad alto rischio sismico come l’Italia potrebbe sembrare un paradosso pensare che le moderne normative tecniche che regolano la progettazione di opere civili (l’ultima è stata emanata nel 2018) ammettano questa eventualità, ma in realtà si tratta di una scelta dello Stato.

Infatti, è proprio grazie ai meccanismi di “danneggiamento” che gli edifici, deformandosi, si “liberano” dall’energia trasmessa dal sisma, secondo criteri che possono essere controllati dagli ingegneri e che, in definitiva, evitano la rottura dei pilastri e il crollo conseguente della struttura.

Le moderne normative tecniche, non solo in Italia, hanno introdotto questo approccio per un motivo molto semplice: costruire edifici incondizionatamente resistenti ai terremoti determinerebbe costi troppo elevati, quindi è stata posta quale priorità l’esigenza di “salvaguardia della vita” degli occupanti, a discapito dell’integrità del bene materiale.

È un concetto di “sicurezza” non del tutto noto ai non addetti ai lavori, tra i quali è tuttora diffusa l’opinione che investire nel mattone rappresenti un porto sicuro nei confronti di qualunque evento, catastrofi comprese.

I recenti terremoti in Italia

Sono sotto gli occhi di tutti le immagini dei recenti sismi avvenuti in Italia a partire dal 2009 (L’Aquila in primis, ma anche il terremoto in Emilia del 2012 e in Umbria del 2016), che mostrano edifici in cemento armato, anche recenti, pesantemente danneggiati, con conseguente evacuazione degli abitanti ed enormi costi sociali derivanti da tutto il processo di accoglienza provvisoria e successiva riparazione.

Tali costi vengono a gravare sullo Stato che, finora, è sempre intervenuto mettendo a disposizione contributi per la ricostruzione proporzionali al livello di danneggiamento degli edifici.

In realtà è una magra consolazione per chi “ha perso tutto”, poiché come noto le procedure di indennizzo, in Italia, sono estremamente lunghe e complesse, caratterizzate da iter burocratici quantomai laboriosi e incerti, nonostante i ripetuti propositi di semplificazioni normative. Si pensi ad esempio a quanto successo a seguito del sisma dell’Umbria-Marche nel 2016, per il quale la vera ricostruzione è stata appena avviata.

Diverso ciò che avviene in altre aree geografiche d’Europa, come ad esempio in Spagna, dove a seguito del violento terremoto di Lorca del 2011 venne emanato un Regio Decreto che, con poche pagine di testo normativo, regolamentò una serie di procedure rapide ed efficaci, tramite le quali i cittadini hanno potuto accedere agli indennizzi offerti dallo Stato per la riparazione dei danni “… personali e materiali”.

Le soluzioni per chi vuole investire nel mattone

Si può agire in due direzioni parallele.

Da un lato è possibile stipulare polizze assicurative specifiche o multirisk, offerte ormai da tutte le principali compagnie che, a fronte di un premio commisurato al valore e alla tipologia costruttiva del bene (se in cemento armato o in muratura, se di recente costruzione o più datato) permettono di assicurare l’intero valore di ricostruzione del bene, comprese le spese di sgombero delle macerie e il valore dei beni interni.

Il ricorso a polizze di questo tipo, seppure ad oggi poco conosciute in Italia, considerata la modesta entità del premio annuo che è mediamente dell’ordine dello 0,5 per mille del valore dell’immobile, rappresenta una tutela senza dubbio efficace nei confronti del “rischio terremoto”, quantomeno per l’iter procedurale diretto con il quale viene erogato l’indennizzo.

Lo Stato italiano favorisce il ricorso alla stipula di assicurazioni contro gli eventi calamitosi, avendole inserite, a partire dal 1° gennaio 2018, tra gli oneri detraibili dai redditi ed anche perché, laddove l’immobile risulti assicurato, non sono dovuti i contributi statali per la ricostruzione.

Ma attenzione alle clausole… Sarà poi così facile, in caso di terremoto, ricordarsi di fare denuncia entro le 48 ore successive? O ritrovare il contratto di polizza nel quale sono indicati gli estremi della stessa? E inoltre, se anche una polizza può risolvere il problema economico, resta il disagio psicofisico – a volte traumatico – derivante dalla perdita della propria casa.

In alternativa è possibile ricorrere a soluzioni costruttive innovative, che risultano molto più performanti sotto il profilo della resistenza rispetto alle costruzioni tradizionali realizzate con travi e pilastri, consentendo di superare gli standard minimi di sicurezza richiesti dalle vigenti normative.

Un esempio è rappresentato dalle costruzioni realizzate a pareti portanti in cemento armato, oppure in legno.

Costruzioni di questo tipo, grazie alla loro estrema rigidezza, sono in grado di garantire l’immediata occupabilità anche dopo terremoti di forte intensità ovvero, se ben progettate e costruite, non sono soggette a danneggiamenti (costruzioni dette “sismoresistenti”). Tutto questo senza aggravio di costi esecutivi o per l’acquirente.