Sono uno dei tanti che ha acquistato un appartamento in uno degli edifici milanesi finiti sotto indagine per presunti abusi edilizi. Nello specifico, l’intervento è stato realizzato tramite SCIA (e quindi senza permesso di costruire), nonostante si trattasse della demolizione di un piccolo edificio, sostituito da una torre di grandi dimensioni. Da quanto mi è stato riferito (e se ho ben capito), la Procura contesta proprio l’utilizzo della SCIA, ritenendo che l’intervento andasse qualificato non come “ristrutturazione edilizia”, ma come “nuova costruzione”. Avendo effettuato il rogito nel 2024 e beneficiato in buona fede del Sismabonus acquisti, mi chiedo ora se rischio un recupero fiscale sull’importo del bonus e come potrei eventualmente tutelarmi.

L’esperto risponde

L’inquadramento urbanistico degli interventi edilizi nella categoria della “ristrutturazione edilizia” consente importanti semplificazioni procedurali, ma può generare conseguenze rilevanti qualora emerga che i requisiti normativi per tale classificazione non siano stati rispettati. Le ricadute, infatti, non sono soltanto edilizie, ma anche fiscali, coinvolgendo direttamente la spettanza dei bonus legati agli immobili, come il Sismabonus acquisti.

Il tema è salito alla ribalta delle cronache con l’apertura di un importante filone d’inchiesta da parte della Procura di Milano, che ha messo sotto la lente numerosi cantieri. In molti casi – stando agli atti giudiziari riportati dai principali quotidiani – si contesta l’uso improprio della SCIA alternativa, utilizzata in luogo del permesso di costruire per interventi di demolizione e ricostruzione con caratteristiche tipiche della nuova edificazione. Un uso che avrebbe consentito vantaggi in termini di tempistiche, oneri urbanistici e autorizzazioni, spesso in assenza di un piano attuativo.

Il nodo giuridico ruota attorno agli articoli 3, comma 1, lett. d) e 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 380/2001 i quali stabiliscono rispettivamente:

  • che a determinate condizioni anche la demolizione e ricostruzione con variazioni plano-volumetriche può rientrare nella ristrutturazione edilizia;
  • sono soggetti a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione edilizia “pesante”, ossia quelli che:
    • modificano la volumetria complessiva degli edifici;
    • comportano mutamenti di destinazione d’uso nelle zone A;
    • alterano sagoma, volumetria o prospetti di immobili vincolati;
    • riguardano demolizione e ricostruzione in aree tutelate, se cambiano sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche tipologiche o se vi sono incrementi volumetrici.

La giurisprudenza – anche recente e di legittimità – invita a distinguere tra interventi che mantengono una continuità con l’edificio preesistente e quelli che, nella sostanza, realizzano un manufatto del tutto nuovo e diverso. In questi casi l’intervento potrebbe essere configurato come nuova costruzione, con tutte le implicazioni del caso.

Da qui discende l’effetto domino: se il titolo edilizio è inidoneo o viziato, non solo si rischia il blocco dei lavori o la decadenza del titolo, ma anche la perdita dei benefici fiscali che ne derivano. Ed è proprio questo il tema centrale sollevato dal lettore.

Se il titolo edilizio è illegittimo, il Sismabonus è perso

Il caso presentato consente di focalizzare l’attenzione su una situazione concreta: un’unità immobiliare già acquistata da una persona fisica, che ha usufruito esclusivamente del Sismabonus acquisti. Alcune informazioni utili – come la modalità di fruizione del bonus (sconto in fattura o detrazione diretta), lo stato dei lavori al momento del rogito, o l’eventuale presenza di provvedimenti formali da parte delle autorità – non sono fornite, ma non impediscono una prima valutazione.

È opportuno, prima di tutto, ricordare che al momento i procedimenti giudiziari in corso a Milano si trovano nella fase delle indagini preliminari. Ogni accertamento su eventuali illeciti, compresi quelli urbanistici, richiederà sentenze definitive.

Tuttavia, in base all’art. 49 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), la normativa è chiara: “gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti […] È fatto obbligo al comune di segnalare all’amministrazione finanziaria […] ogni inosservanza comportante la decadenza”.

Questo principio trova applicazione per tutti i bonus edilizi ordinari – tra cui appunto il Sismabonus acquisti – e comporta la decadenza automatica dei benefici fiscali in caso di difformità edilizie rilevanti o violazioni urbanistiche. È sufficiente, dunque, una discordanza sostanziale tra quanto autorizzato e quanto realizzato per perdere il diritto al bonus, anche se fruito in buona fede.

È il caso di ribadire un principio fondamentale: in materia edilizia, la buona fede non basta. È sempre necessario affidarsi a consulenti esperti prima di acquistare un immobile, soprattutto se soggetto a regimi agevolati.

E se il bonus viene revocato? A chi chiedere il risarcimento

In caso di revoca del bonus, l’acquirente è il soggetto su cui grava l’onere di restituire l’agevolazione, trattandosi del primo titolare del credito d’imposta secondo la normativa vigente. Tuttavia, la disciplina tributaria prevede alcuni strumenti di tutela.

In particolare, l’art. 10 del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che: “Chi, con violenza o minaccia o inducendo altri in errore incolpevole […] determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale”.

Questo principio, richiamato anche nella Circolare 33/2022 dell’Agenzia delle Entrate, consente – in caso di errore incolpevole – di evitare quantomeno le sanzioni. Resta tuttavia l’obbligo di restituire il bonus ricevuto.

A questo punto, diventa fondamentale esaminare con attenzione i documenti contrattuali – dal preliminare al rogito, fino agli eventuali materiali pubblicitari utilizzati nella trattativa. Se il bonus ha inciso sul prezzo di vendita o se il venditore ha trattenuto parte dell’agevolazione a titolo di rimborso per costi tecnici o gestionali, si potrebbe configurare non solo un inadempimento contrattuale, ma anche un vizio del consenso. In tali ipotesi, l’acquirente potrà far valere i propri diritti in sede civile, purché nel rispetto dei termini di prescrizione previsti dalla legge.

Va però sottolineato che, qualora l’intervento venisse definitivamente qualificato come abusivo, ci si troverebbe di fronte a una situazione ben più grave. In quel caso, oltre alla perdita dell’agevolazione fiscale, si aprirebbe la questione della regolarità stessa dell’immobile, con ripercussioni potenzialmente molto più ampie.