Superbonus, contenzioso con l’impresa e incongruenza nell’asseverazione ENEA. Situazione difficile
Le varianti in corso d’opera devono sempre risultare da accordi scritti perché, in caso di contenziosi, può risultare difficile “chiudere il cerchio”.
In edilizia molto è cambiato dall’avvento del decreto Rilancio (DL 34/2020), che ha introdotto non solo il Superbonus 110%, ma anche nuovi adempimenti e responsabilità per i professionisti.
Tra questi vi è la possibilità di redigere le asseverazioni “a SAL” per determinare la congruità delle spese sostenute ai sensi del co. 1-bis, dell’art. 121 del citato DL 34/2020 e dare accesso alla cessione dei crediti già prima della fine dei lavori.
Si tratta di un atto giuridicamente “molto forte”, nel quale il tecnico attesta, consapevole delle proprie responsabilità penali, la correttezza dei dati riportati. Pertanto l’asseverazione deve essere redatta prestando attenzione non solo agli aspetti meramente tecnici, ma anche a quelli contrattuali, contabili, e agli equilibri delicati che regolano l’appalto.
Ciò perché, se qualcosa in corso d’opera “va storto” e l’asseverazione contiene dati inesatti, può diventare molto difficile “chiudere il cerchio”, con conseguenze a volte irreversibili sia per chi l’ha firmata, sia per il committente.
Decadenza dai benefici
Che l’attestazione di un SAL vada prodotta con prudenza lo si comprende perfettamente leggendo i contenuti delle asseverazioni. Ad esempio, in quella da consegnare all’ENEA è chiesto di specificare che il professionista opera nella consapevolezza “delle responsabilità penali conseguenti alla formazione di atti falsi” e “della decadenza dai benefici fiscali eventualmente conseguenti a provvedimenti emanati sulla base di dichiarazioni non veritiere”. A tal fine e non a caso, viene chiesto di indicare i riferimenti non solo al protocollo della CILAS depositata, ma anche alla relazione tecnica sulle prestazioni energetiche dell’edificio prevista dalla L. 10/1991 e del D.lgs. 192/2005. In più, bisogna dichiarare la congruità dei costi sostenuti, esplicitando quelli relativi agli interventi effettuati fino al SAL raggiunto e quelli totali previsti dal progetto, riepilogando anche i dati termici conseguenti all’intervento realizzato.
Tale insieme complesso di dati è facilmente gestibile se tutto va bene, ma ben può diventare un groviglio da azzeccagarbugli. Infatti, se per qualche motivo si ferma il gioco senza che sia tutto in regola, si rischia di restare con il cerino in mano a districare questioni urbanistiche e ingegneristiche, tenendo conto dei rigidi paletti fiscali e dei risvolti giuridici.
Il quesito
Nel mio condominio siamo ai ferri corti con il General Contractor che doveva eseguire lavori meritevoli del 110% e che invece, per difficoltà finanziarie, ci ha mollati a metà strada. Sono in corso trattative legali che temo sfoceranno in una causa civile che coinvolgerà non solo la società costruttrice, ma anche i professionisti da essa indicati. Qualcuno deve infatti rispondere dei danni che abbiamo subito, trovandoci oggi con una palazzina mezza fatta che vale meno di prima.
Nel frattempo, abbiamo nominato un consulente tecnico, che ha evidenziato un elemento preoccupante: il contratto d’appalto e il computo ad esso allegato prevedevano lavori di efficientamento energetico (caldaie, cappotto e infissi), per un totale di circa 700 mila euro. Nell’asseverazione di cui al 1° SAL, inviata all’ENEA nel 2022 e già oggetto di sconto in fattura, è stato però dichiarato (con tanto di computo metrico giustificativo) un importo totale di circa 500 mila euro, inferiore dunque a quello stimato inizialmente e indicato nel contratto.
Visionando in dettaglio detto computo complessivo, allegato al medesimo SAL, risulta che l’asseveratore ha espunto alcune lavorazioni, come gli infissi, prevedendo cioè di non farli, probabilmente per ridurre i costi, date le difficoltà finanziarie dell’impresa. Non escludo che vi possa essere stato un accordo tra il GC e il professionista, ma se anche fosse è privo di validità, perché noi condòmini non abbiamo mai autorizzato una simile variazione.
Mi chiedo se tale difformità tra le previsioni di progetto (e il conseguente importo lavori) e quanto ufficializzato con l’invio del SAL ad ENEA possa essere sanata, e se l’incongruenza possa determinare problemi qualora venga rilevata nell’ambito della causa che purtroppo stiamo per intentare.
La risposta dell’esperto
La questione, particolarmente complessa, riguarda un caso in cui i progetti iniziali, descritti da una CILAS, prevedevano lavori che poi, in corso d’opera, qualcuno ha deciso di variare in diminuzione.
Si tratta di una situazione comune che, preferibilmente, dovrebbe essere regolarizzata prima di presentare il SAL, che altrimenti risulta “imperfetto”, date le incongruenze tra opere previste nei progetti e opere dichiarate nell’attestazione a SAL.
Tuttavia, apportare varianti alla CILAS a fine lavori è lecito, come previsto dal DL 11/2023 (art. 2-bis), e quindi difficilmente l’amministrazione può sindacare su un credito derivante da una pratica formalmente “viziata” da una incongruenza all’epoca del primo SAL, purché risulti regolare a fine lavori, grazie alla presentazione di una variante.
Ipotizzando quindi che la modifica di cui si discute non sia tale da inficiare il raggiungimento dei requisiti indispensabili per accedere al Superbonus (ad esempio il doppio salto di classe energetica), tutto si risolverebbe presentando una variante alla CILAS, con la quale i minori importi riportati nell’asseverazione a SAL (incongruenti rispetto a quelli iniziali), trovano un riscontro tecnico.
Nel caso dell’esempio, se all’inizio era prevista la sostituzione degli infissi e poi si è deciso di escluderla, la variante dovrà darne atto specificando l’inessenzialità dell’opera per l’ottenimento del bonus, depositando una nuova relazione ex L 10/1991.
Se il cantiere si ferma
Il problema (grosso) nasce nel caso in cui il cantiere si ferma e non si riesce a presentare la variante descritta.
Il condominio, infatti, a fronte di un contratto d’appalto col quale l’impresa si impegnava a “far nuova” la palazzina, non è detto che trovi sufficienti consensi in seno all’assemblea per deliberare l’abolizione di lavori riconducibili al 110%, per di più se essi erano voluti e se ora sono persino da regolarizzare con un progetto in variante, che deve per forza mettere seduti allo stesso tavolo tutti i professionisti (progettista architettonico, strutturale, termotecnico, DL). Figurarsi se allo stesso tavolo deve sedere anche l’impresa litigiosa, per siglare un addendum al contratto d’appalto, nonché i legali di tutte le parti e le loro compagnie di assicurazione.
Se si ferma il gioco, ecco che il professionista, che magari ha agito in buona fede avallando l’input di eliminare talune opere sulla base di rassicurazioni informalmente ricevute da qualcuno, si trova in trappola, poiché il suo operato, visto da fuori, configura un errore professionale, stante l’incoerenza tra l’importo dei lavori (e la loro tipologia) dichiarato in CILAS e quanto indicato nell’attestazione a SAL. Il problema non è solo formale, ma anche sostanziale, posto che nessuno può assicurare, al di fuori di un regolare progetto, che con l’eliminazione di alcuni lavori si raggiungano i requisiti Superbonus.
Cosa può fare il committente
Una simile situazione rende non spettante il credito fiscale fruito dal condominio all’atto del primo SAL oggetto di sconto in fattura e quindi già monetizzato. Ciò almeno in astratto, perché il problema si manifesta solo quando scatta un controllo sulla pratica.
Il condominio si trova così tra due fuochi incrociati. Da un lato il contenzioso con l’impresa, tutt’altro che banale, essendo in gioco la perdita del 110% per mancato completamento dei lavori, dall’altro un documento viziato da un errore professionale, commesso probabilmente in buona fede, ma tale da generare la non spettanza del credito di cui al primo SAL, con conseguenti sanzioni, interessi e restituzione delle somme indebitamente percepite in caso di controlli.
Data la complessità del quadro, che riveste aspetti di natura civile, penale e tributaria, qualunque consiglio non può prescindere dall’analisi specifica del caso e dei singoli documenti contrattuali, fermo restando che la strada “ufficiale”, dopo aver contestato gli inadempimenti descritti, sarebbe quella di sporgere denuncia alle autorità competenti, con tutte le conseguenze.
Cosa può fare il professionista
Se il condominio può fare ben poco sul piano pratico e può solo scegliere il “minore dei mali”, ancor meno può fare il malcapitato professionista, anche quando gli venga notificata una formale contestazione del lavoro svolto, irrimediabilmente fotografato da un SAL presentato l’anno scorso. Egli dovrà attivare la propria assicurazione professionale per quanto concerne la parte di responsabilità civile conseguente all’eventuale perdita dei benefici fiscali del committente, e interrogarsi sul piano deontologico sui risvolti legati alle violazioni penali. Nell’attesa di ricevere atti formali da parte degli enti preposti, potrà raccogliere prove da usare come esimenti.
In generale, e a monte di qualunque scelta tecnica, egli dovrebbe possedere atti scritti (nel caso dei condomini una delibera assembleare) che autorizzino la modifica dei lavori, contenenti anche il mandato per l’amministratore a firmare in qualunque momento i progetti di variante.